


DIALOGHI SU VOCI E VISIONI
Un viaggio Siciliano tra Colori e Sensazioni
Nella realtà contemporanea, una realtà in cui l’iper connessione ci porta a un inganno, quello di pensare di essere in continuo dialogo con il mondo intero, ci rendiamo conto che in verità non esiste alcuno scambio reale di punti di vista, di visioni e di voci, la scommessa dei curatori della mostra e degli artisti che vi partecipano è quella di far fermare il fruitore davanti alle tele, di costringerlo in qualche modo a una riflessioni e di portare avanti una connessione tra visioni del mondo e voci diverse, che sono poi le maniere differenti di ciascuno dei quattro artisti che espongono di rapportarsi con la realtà circostante, di interpretarla e riscriverla secondo una cifra unica e irripetibile. E’ un onore per la città di Comiso ospitare un esposizione di così alto valore; è un piacere per me, come sindaco, tenere a battesimo questa iniziativa che offrirà a tutti i visitatori, non solo impareggiabile esperienza estetica, ma, fatto ancor più importante e di rilievo, appunto nella “superficialità” del contemporaneo , l’occasione per porsi interrogativi che stimolino a riflessioni, che aprano a dialoghi e che incentivino e stimolino le nostre voci, sempre frutto di meditazione profonda e ragionata.
Maria Rita Schembari
Quando, nel 1940 due ragazzi francesi casualmente scoprirono quelle che oggi sono note come le “Grotte di Lascaux”, l’umanità tutta ebbe un sussulto di grande meraviglia e, non soltanto per la bellezza, la quantità e la datazione (oltre 17000 anni) dei graffiti ritrovati, ma anche perchè si è avuta conferma che l’arte è sempre stata un bisogno primario, essenziale per l’uomo. Non esistevano le mostre, i mercanti d’arte, i concorsi ne critici, ne la possibilità di un lauto riconoscimento in denaro. E allora perchè questa immane fatica, perchè, al buio di una rudimentale torcia, all’interno di un edificio naturale enorme come tanto da contenere oltre 6000 graffiti che io chiamerei opere d’arte? L’ uomo si chiede perchè. La risposta è dentro di noi, nel nostro DNA. E’ la prova tangibile che per l’uomo la ricerca della bellezza e la sua rappresentazione siano in fin dei conti una necessità. E fino ai nostri giorni non abbiamo smesso mai di raffinare l’arte, da allora ci siamo perfezionati, evoluti, inventati linguaggi, narrazioni, bugie intrise di verità. E questo nostro territorio, la Sicilia tutta, ha partorito un infinità di personaggi illustri in tutto il mondo. Territorio spesso martoriato, offeso, che ha sempre dimostrato di saper rinascere dalle proprie macerie. Quella necessità primordiale non si è mai sopita, generando bellezza, sapienza e amore. La mia speranza è che l’arte non smetta mai di creare la “pace” , oggi ne avremo ancora tantissimo bisogno. Solo l’arte nei secoli ha ricondotto l’uomo alla sua naturale umanità. Solo la bellezza salverà il mondo. Non sono bravo a fare discorsi ed è per questo che mi affido a quello pronunciato da Papa Benedetto XVI pronunciate durante l’udienza generale del 31 Agosto del 2011 e che descrive meglio il senso dell’arte:
. . .”Forse vi è capitato qualche volta davanti a una scultura, ad un quadro, ad alcuni versi di una poesia, o ad un brano musicale, di provare un intima emozione, un senso di gioia, di percepire, cioè, chiaramente che di fronte a voi non c’era soltanto materia, un pezzo di marmo o di bronzo, una tela dipinta, un insieme di lettere o un cumulo di suoni, ma qualcosa di più grande che parla, capace di toccare il cuore, di comunicare un messaggio, di elevare l’animo. Un’ Opera d’arte è frutto della capacità creativa dell’essere umano, che si interroga davanti a una realtà visibile, cerca di scoprirne il senso profondo e di comunicarlo attraverso il linguaggio delle forme, dei colori, dei suoni. L’arte è capace di esprimere e rendere visibili il bisogno dell’uomo di andare oltre ciò che si vede, manifesta la sete e la ricerca dell’infinito. Anzi, è come una porta aperta verso l’infinito, verso una bellezza e una verità che vanno al di là del quotidiano. E un’ opera d’arte può aprire gli occhi della mente e del cuore, sospingendoci verso l’alto . . .”
Bruno Torrisi
PREFAZIONE
Davide Marchetti
I luoghi ameni
Già mi fur dolci inviti
a empir le carte i luoghi ameni
Ludovico Ariosto, Satira VI
In una delle sue rarissime interviste – rilasciata alla Paris Review nel 1956, tre anni prima, cioè del Nobel per la letteratura – William Faulkner chiariva, con grande schiettezza e sincerità, quelli che erano i cardini della sua opera: “A partire da Sartoris ho scoperto che il mio piccolo angolo di terra natale, grande come un francobollo, era un tema valido, e che non avrei avuto abbastanza a lungo per esaurirlo, ma che sublimandone la realtà sarei stato totalmente libero di impiegare al meglio il talento che forse possedevo. Ciò mi fece scoprire una miniera d’oro di personaggi, e fu così che creai un mio universo”.
Ecco, in poche righe, Faulkner ci fa capire come il bagaglio fondamentale per un artista in genere – e no solo per uno scrittore – sia quello che gli deriva dalla frequentazione mnemonica della propria terra d’origine. Una sorta di recherche imprescindibile che arriva che arriva perfino a ossessionare il respiro dell’anima di ogni creativo. Perchè – sia detto per inciso con le parole di Sthendal – gli uomini del sud “non dimenticano”. Non dimenticano perchè è impossibile dimenticare per loro, è impossibile non continuare ad attingere, anche per tutta la vita, da quel patrimonio inestimabile costituito dagli anni della formazione.
Il millimetro cubico
Inutilmente sperai in un inciampo
nel cammino delle stelle.
Gesualdo Bufalino, Diceria dell’untore
In fondo, è proprio del concetto di memoria legata a un luogo d’origine, che non ha smesso mai di parlare ( e di raccontare) anche Gesualdo Bufalino. E come Faulkner citava quel suo “piccolo angolo di terra natale, grande come un francobollo”, Bufalino proclamava a piena voce che lui non solo non s’era mai allontanato dal ” millimetro cubico” della sua Comiso, ma non se ne sarebbe mai allontanato. e torniamo anche a quella “miniera d’oro di personaggi ” che era stata per Faulkner la cittadina di New Albany , sul Mississippi. Da Bufalino con Comiso a Sciascia con Racalmuto, da Vincenzo Consolo con Sant’Agata di Militello a Giosuè Calasciura con Palermo ( per citare un autore, quest’ultimo, cronologicamente a noi più vicino) sembra infinita per questi scrittori la riserva di ricchezze impresse nella memoria dalle passate esperienze, di ricordi ammalianti conservati forse per sempre e in maniera indelebile nello scrigno della propria regione d’origine.
Scrittori, poeti, pittori, scultori, registi portano quindi con se, e per sempre, il luogo che cambia, tale luogo segue, nel corso del tempo, il mutare delle attese. Le opere dell’artista altro non sono che una lunga meditazione sulla trasformazione dei luoghi. La Sicilia in genere e l’area comisana in particolare, mondi remoti e forse mai rimossi, condannano l’artista a vedere demoni dietro ogni angolo, demoni che presto si rivelano guardoni impudichi delle sue ferite.
Urla senza suono
Ogni luogo è il centro del mondo
Ogni momento è il cuore del tempo
Mentre la memoria dell’artista gira vorticosamente alla ricerca di appigli, va detto che egli non potrà mai prescindere dal creare una forma di autoritratto. Forse il Madame Bovary c’est moi di Flaubert è una condanna per l’artista. Dai tagli sulla tela di Lucio Fontana, ai dripping di Pollock, alle bocche digrignate in un urlo senza suono di Francis Bacon, è sempre se stesso che sta cercando di ritrarre (in letteratura potremmo dire raccontare) l’artista. Oggi l’identificazione di un autore col proprio lavoro creativo è totale. Non si scappa. Dal secolo scorso, inoltre, non si può prescindere dal considerare il parallelo artistico che intimamente lega la pittura alla scrittura. L’ansia, la furia, il bisogno di comunicare con drammatica immediatezza un intima lacerazione – ma che comunque finisce con l’appartenere a tutti – sono i medesimi. E appunto non è poi un espediente con estremo di avvicinare – oggi più che mai – lo scrittore al pittore, confermando anzi, a questo proposito, come sia impossibile, per lo meno, ripeto, dal secolo scorso, non interpretare una singola attività creativa, senza far ricorso, per meglio comprenderla, al raffronto anche ardito con un’altra. I silenzi e i vuoti delle pagine di Beckett non si spiegano in fondo in modo più curato e inaspettato i colori persi e in pericolo e sbandati di un Rotko?
Il Sud del mondo
Ci sono scrittori del Sud e scrittori del Nord
Vladimir Nabokov
Vladimir Nabokov fece una volta ai suoi studenti della Cornell University una divertita distinzione fra scrittori del Nord e scrittori del Sud: Il critico letterario e storico della letteratura Giulio Ferroni la definì molti anni dopo “una distinzione essenziale”, dimostrando di prendere molto sul serio quella che solo in apparenza potrebbe sembrare una boutade da parte dell’autore di Lolita. In effetti, tutto il novecento è attraversato – e non solo in italia – da una vera e propria contrapposizione creativa. Basti pensare agli scrittori americani: da una parte lo stuolo degli autori del Sud, capeggiati oltre che da Faulkner, solo per fare qualche nome, da Styron e da Steinbeck (Nobel nel ’62), dall’altro i “nordisti” come, per esempio, Saul Bellow, Philip Roth, Paul Auster. Per non parlare dei sudamericani: un vero esercito. E gli italiani? Ferroni ha fatto notare che i maggiori sperimentatori del novecento sono stati siciliani: Da Pirandello (Nobel nel 1934) a Stefano D’arrigo, da Antonio Pizzuto a Lucio Piccolo. Per non dimenticare che la fondazione del Gruppo ’63 avvenne a Palermo. E Oggi, la poesia italiana come può prescindere dalle cancellature di Emilio Isgrò? Questi ha preso per mano l’avanguardia, evidenziando con l’intera sua opera quanto sia inutile cercare di disegnare dei confini fra pittura e scritura.
E qui torniamo al punto di partenza: è impossibile (e anche ingiuso) – e questo lo sapeva bene l’uomo rinascimentale – non interpretare una singola attività creativa, senza far ricorso, per meglio comprenderla, al raffronto anche ardito con un altra. Un dipinto (mi si passi questo termine d’antan) ai nostri giorni altro non è che il risultato di un complesso percorso estetico che non può prescindere dal conglobare in se letteratura, cinema, perfino musica. In poche parole, un quadro -nel nostro mortale/immortale presente – è anche un romanzo, una poesia, un preludio, una sinfonia, una commedia, un film.
LA PITTURA DELL’ANIMA
Angelo Buscema
Una presentazione di una mostra non esclude di poter parlare di un sentimento incommensurabilmente profondo, la cui origine non coincide con quella storia e dell’evoluzione umana, m fa parte di essa e, nello specifico incarna l’uomo e lo fa esprimere attraverso pratiche, anche pratiche cromatiche e pittoriche. Vorrei dunque, parlare di una capacità dell’uomo, di un mondo che si è formato dentro l’uomo e, quindi, del fatto che in quell’infinito scantinato dei sentimenti umani, l’uomo diventa capace di esprimersi con gesti cromatici, gesti etnici e di tutto ciò che la creatività umana gli dà a disposizione.
Nell’esaminare la storia dell’uomo sotto l’aspetto della pittura come espressione dell’anima e calcolando che si tratta di una scoperta del tutto naturale, per cui risulta difficile riuscire a stabilire chi possa essere l’artefice di questa scoperta, perchè tale scopritore si nasconde da qualche parte nei meandri della storia umana delle epoche precedenti dico che questa scoperta nasce contemporaneamente all’ Amore, sentimento di reciprocità, tra esso e la creatività, insita nell’uomo al momento del suo stesso concepimento. Questo nuovo modo di sentire l’Arte, questo amore puro, di trasmettere attraverso i colori (perchè in questo caso si sta trattando solo e soltanto di amore puro, di amore purissimo, e non invece, di amore non del tutto puro), perchè l’amore purissimo era ed è la resistenza, la tenacia, la forma più proonda e, forse, l’unica forma nobile, della ribellione e di denuncia, poichè soltanto nell’amore l’uomo diventava e diventa perfettamente, incondizionatamente, completamente libero, in ogni senso e, di conseguenza, ovviamente, anche il più pericoloso possibile per il proprio mondo, perchè è davvero così: se pensiamo all’amore che l’uomo può avere verso l’Arte, come tale, non mente, comunica verità e passioni profonde. Questo sentimento di Amore per l’Arte è un sentimento che si affila e prende sempre di più espressività nei secoli, arriva ad avere il suo massimo splendore nel tardo medioevo e nel rinascimento, quando in un Infinito scantinato di emozioni emerge quello che possiamo definire il più importante risultato della cultura europea: ed è per questo che l’artista vuole Petrarca invece di Boccaccio (dichiarò in quel frangente lo scopritore del sentimento), vuole Catullo invece di Petronio, e vuole assolutamente Dante, Dante, e ancora Dante, al posto di chiunque altro, per sempre, per abolire la pesantezza della gravità, perchè questo era il messaggio di tale vita nova. Nell’affrontare il tema della pittura e collegarlo al concetto Arte come ” La pittura dell’ anima” io porto un unico esempio di un grande artista rinascimentale, Michelangelo Buonarroti. Nel profondo delle viscere del Buonarroti vi sono esempi di profonde verità di amore verso l’Arte, tant’ è che visse drammaticamente le contraddizioni e i contrasti affettivi e mistici del suo tempo, scegliendo l’arte come strumento della passione umana, tesa al raggiungimento della bellezza. In quanto filosofo neoplatonico, riconobbe nel ruolo virile un riflesso della grandezza dell’Amore verso la rappresentazione dell’anima umana. Michelangelo Buonarroti, malinconico, scorbutico, solitario, diffidentissimo, aveva, a sua volta un senso di ribellione e di denuncia capace di espressioni cromatiche e artisticamente ” tipiche di un Amore”, tante volte narcisistico, passionale e carico di espressività verso la bellezza universale. In Buonarroti le contraddizioni e la purezza d’animo si fanno sempre più forti con gli anni, contraddistinguendo l’Amore per l’Arte e il suo essere dentro una bellezza pittorica ed, espressivamente, di Amore verso se stesso e l’Arte.
Gianmaria Cassarino è un giovane talento di una pittura della visione, dello sguardo dell’anima, proiettata dalla visione degli altri con lo splendido cromatismo. Gianmaria, intento a promuovere figure umane differite nel cuore dello spettatore, con sguardo puro e a tratti, anche visionario. Ritratti, tratti e trattati con pennelli ruvidi e a tratti morbidi e poetici, stravolgono il concetto stesso di ritratto. Le figure derivano da volti, a sua volta trasfigurati dal colore e nello stesso tempo carichi di espressività matura e concreta. L’interlocutore, il modello da ritrarre è esso stesso dentro una pittura dell’anima. Tutta la sua pittura è carica anche di splendide visioni naturalistiche, di paesaggi urbani e splendide architetture, corroborate e splendidamente create con cromatismi che sanno di odori antichi e gioiosamente color del miele. Il colore e la frequenza necessaria per poter dirompere quelle forze. E’ la frequenza che ha la capacità di riportare alla luce quelle caratteristiche e quei talenti che sono in noi. La Creatività è la forza vitale di ognuno di noi. Ricontattare la creatività significa entrare in contatto con l’energia che ci rende vivi, ci dà passione per tutto ciò che facciamo e che viviamo. E in questo modo ricontattiamo l’ Amore che vive dentro di noi. Durante questo percorso contatteremo le forze Amorose che ci guidano, e ritroveremo la gioia di essere e di esistere. L’ Arte sentita, e poi trasferita di propria mano nel reale, è un percorso nella fitta oscurità, che porta poi all’ emersione di ciò che abbiamo dentro. Si può soffrire e, da qui, creare fiori se si coltiva il seme della speranza che è sintesi di sogno e visione.
Comiso lì: 25 agosto 2025
IL VIAGGIO
Salvatore Pace
Bitàcora: Diario di Bordo
[ La parola greca sèma ha come significato originale quello di “tomba” e, solo dopo quello di “segno”, poichè la tomba è il segno dei morti. Tomba, segno, parola scritta, immagine: tutto lotta contro l’oblio.]
Questa rassegna riunisce quattro artisti, quattro modi diversi di intraprendere, sperimentare e raccontare il Viaggio. Ognuno porta con se un bagaglio di luce, di materie e di sguardi: un lessico pittorico che diventa narrazione intima, seclusa, singolare. C’è chi cammina tra le ombre e le architetture di luoghi radicati nella storia, chi si abbandona alle geometrie interiori della forma, chi rincorre la cadenza metodica nelle stagioni, chi attraversa la territorialità del corpo umano.
L’incidere qui non è mai lineare. E’ un andare e tornare, sostare e ripartire, smarrirsi per ritrovarsi altrove. Ogni opera è una stazione, ogni artista uno scopritore, un pioniere: insieme costruiscono una mappa in cui il reale e l’immaginario si sovrappongono fino alla mescolanza.
L’arte, come il viaggio, esige lentezza. Invita a fermarsi, ad ascoltare, a guardare più a lungo di quanto la fretta non ammetta. Così, pagina dopo pagina, tela dopo tela, il Viaggio diventa non solo il tema di questa rassegna, ma l’esperienza stessa che il viaggiatore abbraccia qui, per continuarla, silenzioso, in qualche vagheggiato altrove.
Ognuno di questi percorsi precipita da un varco: un passo audace oltre la soglia, un albore che si schiude o un’ ombra che ci espropria. Non importa se la strada è reale: il viaggio è sempre attraversamento, un modo per congedarsi dal familiare e lasciarsi sedurre dal perturbante, da ciò che non ha ancora raggiunto l’immobilità della parola o la fissità della forma.
I quattro artisti qui chiamati a raccolta – Barone, Caruso, Cassarino, Catania, Zingali – non offono mete, destinazioni, o porti sicuri: abbozzano aperture, indicano improbabili accessi, suggeriscono transiti, tragitti, crocevie. Le loro tele sono mappe, cartografie senza geografia, territori un tempo segnati dal “hic sunt leones” delle carte medievali, da vestigia di attraversamenti che ci interpellano, appellandosi alla testimonianza.
C’è chi avanza nella luce, chi affonda nella memoria del colore, chi scava nella vertigine della forma ansiosa e chi si affida al silenzio dell’altra scena: quatto direzioni diverse, quattro punti cardinali che talvolta si intrecciano in un unico ordito, ma ognuno con il suo dritto e il suo rovescio.
“Il Viaggio” è questo: non la somma dei singoli percorsi individuali, ma il loro dialogo, la loro tensione, la loro inquietudine talora insostenibile. E’ l’eventualità che ciascuna singolarità, restando fedele a sè stessa, trovi o meno il respiro comune. E’ il tempo sospeso in cui l’arte si fa bussola e specchio, ma anche viatico, pan di via.
Al lettore e allo spettatore spetta l’ultimo passo: varcare il limen, la soglia delle immagini, e lasciarti guidare – o smarrire – da esse. A ciascuno il rischio o l’opportunità di perdersi.
Gianmaria Cassarino – Figure dal buio
La pittura di Gianmaria Cassarino si misura con la luce, non come armonia ma come lacerazione, ferita. Le sue tele recenti mostrano figure che affiorano dall’oscurità, corpi e volti che emergono da un fondo che li inghiotte. La luce non è più cammino, ma cesura, strappo netto, svelamento parziale, lama che fende scindendo visibile da invisibile.
Dalle prime piazze urbani, o dai suggestivi scorci di campagna soleggiati, dove la luce organizzava il paesaggio, fino ai ritratti attuali, Cassarino ha progressivamente ridotto la scena, concentrandosi sulla nuda singolarità della presenza. Il paesaggio è netto: dall’apertura dello spazio alla concentrazione del volto e del corpo.
Ora lo spazio è quasi azzerato, sostituito da campi cromatici assoluti (nero, rosso), che fanno risuonare la figura come un apparizione.
– Apparizione dai neri: un volto scavato, segnato, che emerge dal nero con durezza caravaggesca. La luce non consola, non conforta: interroga.
– Cancellazioni: una presenza fragile, sospesa, colta nel silenzio dell’oscurità, quasi icona lacerata dal bagliore sul viso.
– Busto su fondo rosso: il nero lascia spazio a un rosso assoluto, che trasforma la figura in reliquia, presenza bruciante, memoria scultorea.
Con queste opere, Cassarino porta la sua ricerca verso una drammaturgia della luce: non più uno spazio da attraversare, ma una feritoia, un taglio che squarcia e svela, lasciando lo spettatore davanti a enigmatiche e potenti presenze, date in obolo alla solitudine
ERRANT
Giovanni Caruso
La mostra si articola come un atlante in movimento, un tessuto di gesti che si inseguono lungo i meridiani e paralleli, tracciando una geografia invisibile in cui i corpi diventano bussole e le opere rotte di viaggio. Questa concezione richiama l’Atlante Mnemosyne di Aby Warburg, dove le immagini si disponevano secondo affinità segrete e migrazioni iconografiche, ma anche la cartografia emotiva cara a Walter Benjamin, per cui ogni mappa nasconde un itinerario intimo, una costellazione di memorie.
Ogni gesto è un approdo e insieme una partenza, una traiettoria sospesa tra l’istante e la memoria, eco di quella “danza delle muse” che già Platone identificava come origine di ogni arte.Le opere qui raccolte sembrano collocarsi in dialogo con quella tradizione che da Isidora Duncan ai Ballets Russes di Diaghilev ha elevato il movimento a linguaggio primordiale, ma al tempo stesso la ribaltano, inscrivendosi nella riflessione contemporanea sul corpo come “archivio vivente” teorizzato da Josè Munoz e Diana Taylor.
Il viaggio che si compie non è solo geografico, ma interiore: una traversata che ci invita a seguire le coordinate mutevoli del corpo, a riconoscere quella “danza segreta” che Rainer Maria Rilke individuava come essenza stessa dell’essere, il ritmo che anima il vivere e lo attraversa. Come le Città invisibili di Calvino, dove ogni luogo diventa linguaggio universale, ponte tra epoche, culture e sensibilità.
Emerge così un’estetica del transito che dialoga con l’antropologia del gesto di Marcel Mauss e con gli studi sulla performance di Peggy Phelan, rivelando che l’arte, prima di essere immagine, è movimento che resiste al silenzio del tempo – Bewegung che si fa resistenza, come intuiva Rudolf Laban nei suoi studi sulla dinamica coprorea, trasformando ogni traccia effimera in documento di un’umanità in perpetuo divenire.
Gianmaria Cassarino
Il viaggio in queste tele di Cassarino, non prende la forma del movimento nello spazio, ma dell’attraversamento interiore. E’ un cammino silenzioso che si compie nella penombra, laddove i volti emergono dall’oscurità per subito ricadervi, come se la pittura stessa ne scandisse il respiro.
La figura femminile inclinata, sospesa contro un fondo di rosso acceso, pare sprofondare in un pesniero irrangiungibile. Lintensità del colore, quasi monocroma, così un terreno emotivo, simbolo di passione, vulnerabilità, ferita. E’ il primo passo del viaggio, quello dell’introspezione, in cui il mondo esterno tace e l’essere umano si confronta con la propria fragilità.
Nella seconda opera, il profilo rischiarato dal buio richiama le atmosfere caravaggesche, ma depurate di ogni teatralità. La luce qui non celebra, ma interroga. E’ una lama che seziona il volto per rivelarne la sostanza fragile, la memoria stratificata, quasi corrosa. La pittura lascia affiorare zone di incertezza, come lembi di esistenza che il tempo ha già provato a cancellare. In questa dialettica tra luce e oscurità, tra apparizione e scomparsa, il viaggio si fa confronto con l’ignoto, con la porzione di noi stessi che rimane celata, irriducibile.
Il ritratto maschile, infine, introduce una presenza enigmatica e silenziosa. Lo sguardo abbassato, il corpo parzialmente avvolto nell’ombra, evocano un gesto incompiuto, un pensiero non ancora pronunciato. La pennelata, densa e quasi graffiata, sembra scavare nella materia pittorica più che descrivere la fisionomia, in un dialogo che richiama tanto le deformazioni esistenziali di Bacon quanto le ricerche di Giacometti sull’inesauribile fragilità dell’essere. Qui il viaggio diventa esperienza di resistenza, il tentativo di dare forma all’identità pur sapendo che essa sfugge, si frammenta, si ricompone.
Queste tre opere, lette insieme, delineano un percorso: dall’interiorità ferita alla rivelazione parziale, fino al confronto con l’enigma dell’altro. Ogni volto è al tempo stesso un approdo e una partenza, un luogo di sosta e di transito. Ed è in questo senso che il lavoro dell’artista dialoga con il tema della mostra: il viaggio non è solo confronto con ciò che siamo e con ciò che inevitabilmente perdiamo lungo la strada. In questo viaggio sospeso tra luce e ombra, tra identità e dissoluzione, la pittura diventa strumento di conoscenza: fragile, imperfetta, ma necessaria.