NELL'OMBRA DELLA LUCE LA PITTURA DI GIANMARIA CASSARINO

[…] Perchè le gioie del più profondo affetto
O dei più lievi aneliti del cuore
Sono solo l’ombra della luce

[…] Perchè la pace che ho sentito in certi monasteri
O la vibrante intesa di tutti i sensi in festa
Sono solo l’ombra della luce

Franco Battiato
E’ trascorso un lustro per Gianmaria Cassarino, giovane pittore autodidatta, da quando si presentò a me con il ritratto “Giovannino”, un omaggio a mio padre seduto in poltrona con il volto illuminato, per più della metà, da un raggio di luce e di mestizia, un’icona di eterno riposo che riaffiora dai vortici di un buco nero, un frame di luce che guizza istantaneo in procinto di essere risucchiato dal nero delle ombre. Accolsi in mostra (nella collettiva Al più amato Giovannino d’Italia dedicata alla mite figura di mio padre) il lavoro di Gianmaria grazie a quella suggestione percettiva che aveva saputo dare all’inscindibilità visiva tra luci e ombre, così come può succedere nell’esperienza della Gestalt, dove le cose giustapposte si leggono meglio nella completezza universale dei due elementi, apparentemente distinti di Yin e Yang.
Per Gianmaria la forma della figurazione insiste proprio nel campo di inquadrature diacroniche di istanti, tra il totale e il frammento, fissati dall’ombra della luce. Dopo aver superato magistralmente i limiti tecnici del dipingere che lo sottoponevano al confronto serrato con la materia, su cui posa ora dritto il suo sguardo, la sua figurazione è emula di quel fil rouge assolato di luce, presente nel fior fiore dei pittori di Scicli con a capo Piero Giccione e nei pittori della sua città, la Comiso di Giovanni La Cognata, dei Salvo Barone, Caruso e Catania Zingali. Egli va verso la manifestazione di una pittura che si estende in materia e che si indirizza, nel suo mostrarsi, verso una tecnica simile all’ossimoro, di ombra della luce per l’appunto. Ecco che allora la sua pittura s’atetsta ad affrontare, con una lettura originale, la ricerca di una luce che tenderebbe di più ad illuminare l’impasto dei colori, sia pure fortemente adombrati dai toni scuri e dai timbri caldi, con un tratteggio di contorno di finissima e intenso bagliore, marcato con il respiro dei suoi occhi su tutti i pigmenti distesi che gli si accostano in prospettiva. In questi ultimi anni post- pandemici, il giovane Gianmaria, ha sicuramente convogliato la sua passione per la pittura nell’alveo della nuova figurazione, saggiando il rigore di un tempo inattuale per chi si dedica, con fare poetico, ancora al tempo di una misura, di un’eccellenza monastica da ammanuense, in contrapposizione con le scorciatoie temporali dell’arte contemporanea, che con protervia mette al centro solo il qui ed ora, l’eterno presente della tecnè.. Ovvero la deriva digitale che tende a privilegiare i segni <<della vista, della visione e del sublime>>, esclusivamente dentro “l’agitazione del concettuale” nell’arte. Usare le dita, la mano, dipingere, vengono considerate pratiche sorpassate dall’onnivora Agenda della Contemporary.
Bene, l’inattualità della pittura non scalfisce minimamente la costante ricerca, il confronto serrato stabiliti da Gianmaria con un fare mito-poetico che lo porta ad affinare, via via sempre più, la sua innata disposizione a dipingere la coeva realtà, traslandola con guizzi e sottili linee d’accensione che accecano tutta la materia delle sue pennellate, ma solo ancora come ombra della luce.
L’artista cassarina in cinque anni ha colmato le lacune di un neofita, sia pur predestinato, pittore, come ci fa sapere la sua biografia d’infanzia, timidamente evocata da ricordi lontani, di quando sedeva piccolisssimo sulle ginocchia della zia Maria che lo ammaliava col disegno. Il suo gesto pittorico si nutre ancora d’un approccio melanconico verso quell’età, teso a suscitare in lui uno sguardo d’intesa e meraviglia quando ritrae, solitarie, l’ombra e la figura di una bambina, camminanti in una piazza di basole assolate. Quadri di vita quotidiana, passeggiate sulla battigia con la brezza delle onde sui piedi: l’attesa forse del raggio verde (quel fenomeno che si può cogliere per brevissimo tempo e di rado quando l’occhio del giorno muore all’orizzonte) tra solitudini e caute apprensioni, intime conversazioni, impressioni di felicità composte come in un set di Eric Rhomer, dove delle persone sparse, un gruppo di donne dai corpi abbagliati, ad eccezione di un solo uomo, siedono in un caffè siciliano, aspettando, stavolta, un miraggio barocco. E poi altri scorci d’atetsa, luoghi municipali, con una ragazza esistante, mentre il sole le ricama addosso la gonna di giallo le lascia sulla pelle un riverbero.
Gianmaria Cassarino scrive con la figurazione narrativa di moemnti, spalmati dal colore, lunga la traiettoria di un chiarore che s’irradia e si compone come sostanza della forma. Epure gli ultimi suoi recenti ritratti, conclusi in questi primi mesi del 2023, come l’icastica figura di Franco con la lunga e copiosa barba o la seduta pratica e corrucciata di Pat su un divano confessano, a noi che li abbiamo attentamente guardati, il nuovo stato delle cose. Qualcosa di dirompente e asimmetrico che si palesa, pronto a scardinare la continuità dell’immagine a cui ci ha abituato. Si avverte, insomma, a vista d’occhio, che la svolta che fa capolino nella pittura di Gianmaria è protesa a guardare all’insieme dell’atto pittorico, senza dare priorità agli echi di una lumeggiante materia. La sua ricerca vira in direzione di una lussureggiante opaca forma della sostanza. Ovvero il colore illuminato dal calore… E siamo sempre all’inizio, così ricomnciamo di nuovo tra le fiorite armonie di vibrante intesa di tutti i sensi in festa, come canta Franco Battiato, sono solo l’ombra della luce.

Salvatore Schembari